comunicazione e soft skill

Lavorare in team: perché lo facciamo?

Scopri perché lavorare in team è "naturale" e non solo "strategico", come farlo al meglio e quali ruoli rendono efficace un gruppo di lavoro.

 

Viviamo in un’epoca che celebra l’individuo: il talento personale, l’autonomia e la produttività individuale sono infatti dei veri e propri simboli di successo. Eppure, se osserviamo da vicino ciò che accade ogni giorno nei luoghi di lavoro, scopriamo che dietro a ogni risultato c’è molto spesso un noi, non un io. Le attività quotidiane, i progetti che prendono forma, le soluzioni che emergono davanti a una sfida complessa: tutto nasce perlopiù da un lavoro di squadra.

Ma allora, perché — nonostante le differenze, le fatiche e i contrasti (inevitabili) del lavoro di gruppo — continuiamo a cercare “gli altri”?

La risposta non è solo organizzativa, ma profondamente psicologica. La ricerca ci mostra infatti che il bisogno di appartenenza è un elemento chiave del benessere individuale e collettivo.

Scopriamo insieme perché lavorare in team, non è solo utile, ma naturale. E comprendiamo perché è una leva strategica.

 

Il bisogno di appartenenza ad un gruppo 

Per capire perché il lavoro di squadra è una dinamica così “spontanea”, possiamo guardare alle teorie di Henri Tajfel (1919–1982) e John Turner (1947–2011), due psicologi britannici tra i principali esponenti della Teoria dell’identità sociale.

Nei loro studi, Tajfel e Turner mostrarono come le persone costruiscano la propria identità non solo a livello individuale, ma anche attraverso l’appartenenza a determinati gruppi sociali. Secondo questa teoria, infatti, tendiamo spontaneamente a distinguere tra:

  • ingroup à il “nostro” gruppo, quello a cui sentiamo di appartenere
  • outgroup à coloro che avvertiamo come “gli altri”.

Questa distinzione influenza profondamente i nostri pensieri e comportamenti: la maggior parte delle volte in modo inconsapevole, tendiamo a favorire i membri del nostro ingroup – che si tratti di famiglia, del gruppo di lavoro o di una squadra sportiva – sviluppando con loro maggiore fiducia, senso di unione e cooperazione.

Per dimostrare quanto questi meccanismi siano profondamente radicati, Tajfel condusse i cosiddetti minimal group experiments. In uno di questi studi, persone completamente sconosciute venivano suddivise in gruppi casuali e invitate a distribuire piccole somme di denaro tra i membri del proprio gruppo e quelli di un altro. I risultati mostrarono che, anche in assenza di legami reali o interessi comuni, i partecipanti tendevano a favorire economicamente il proprio gruppo.
Questo e altri esperimenti dimostrarono che basta un minimo senso di appartenenza per generare preferenza e lealtà verso “i propri”, a cui si accompagna — in modo complementare — una certa distanza o discriminazione nei confronti degli “altri”.

Negli anni successivi, Turner ampliò le intuizioni di Tajfel con la Teoria dell’Autocategorizzazione, spiegando come gli individui si percepiscano talvolta più come membri di un gruppo che come singole persone e che quando prevale questa identità collettiva, i comportamenti si orientano verso la cooperazione, la conformità alle norme del gruppo e il raggiungimento di obiettivi condivisi.

Applicato al contesto organizzativo, tutto ciò significa che un team funziona davvero quando riesce a costruire una forte identità condivisa: quando i suoi membri non si percepiscono solo come individui che collaborano, ma come parte di un “noi”. Nei contesti lavorativi, costruire un autentico senso di appartenenza significa creare ambienti in cui le persone si sentono parte di un progetto comune: una condizione che alimenta fiducia, impegno e risultati condivisi.

Lavorare in team

Come lavorare in team

Lavorare in team non significa semplicemente “lavorare insieme”, ma collaborare in modo consapevole verso un obiettivo comune, come abbiamo appena avuto modo di scoprire. Perché un gruppo funzioni davvero, non basta mettere insieme persone competenti: serve costruire connessioni e creare fiducia reciproca.

  • Un primo passo è la chiarezza degli obiettivi: ogni membro deve sapere qual è la meta condivisa e in che modo il proprio contributo si inserisce nel quadro generale. Quando il “perché” e il “come” del lavoro sono chiari, la motivazione accresce.
  • Altro elemento chiave è la comunicazione aperta. Un team efficace è quello in cui le idee circolano liberamente, in cui si può dissentire senza timore e proporre alternative costruttive.
  • Infine, un buon lavoro di gruppo richiede fiducia: fidarsi non significa pensare che l’altro sarà impeccabile e non sbaglierà mai, ma sapere che agirà con impegno e trasparenza. La fiducia è la base della sicurezza psicologica che permette alle persone di esprimersi pienamente — condizione essenziale per la creatività e l’innovazione.

I ruoli nel team 

Ogni gruppo di lavoro trova la sua forza nell’equilibrio tra persone con caratteristiche diverse. In un team efficace, infatti, i ruoli emergono naturalmente dalle competenze e dai comportamenti dei suoi membri. Per comprendere meglio queste dinamiche, possiamo distinguere quattro modalità principali di partecipazione che si riscontrano nei gruppi di lavoro: il contributore, il provocatore, il collaboratore e il comunicativo.
Ricordiamoci, però, che queste dinamiche di partecipazione non sono solamente “attitudini naturali”: sono vere e proprie competenze che si possono affinare con consapevolezza ed esercizio! Attraverso percorsi formativi mirati, è possibile comprendere come valorizzare il proprio ruolo e integrarlo insieme a quello degli altri.

  • Il contributore è una persona orientata al compito, che porta competenze tecniche, organizzazione e senso di responsabilità. Viene visto come una persona di cui ci si può fidare, anche se talvolta rischia di guardare troppo ai dati e a perdere di vista il quadro d’insieme.
    Le altre persone lo descrivono come responsabile, autoritario e organizzato.
  • Il provocatore è colui che mette in discussione le idee del gruppo per stimolare nuove prospettive. Anche se può sembrare “scomodo”, il suo ruolo è essenziale per evitare la staticità di pensiero.
    Gli altri membri di team lo definiscono come onesto, esplicito e avventuroso.
  • Il collaboratore è orientato agli obiettivi. Ritiene che la visione, la missione o l’obiettivo del gruppo siano di primaria importanza, pur essendo flessibile e aperto a nuove idee. È lungimirante, flessibile e fantasioso.
  • Il comunicativo si occupa di mantenere viva la comunicazione. Svolge bene il ruolo di facilitatore nel coinvolgimento degli altri membri e nella risoluzione dei conflitti. È in grado di tradurre idee e aiutare il gruppo a restare allineato: per questo è una persone riflessiva e entusiasta.

Come abbiamo avuto modo di comprendere, lavorare in team è una scelta che affonda le radici nella nostra natura psicologica e sociale. Come dimostrano le teorie di Turner e Tajfel, il bisogno di appartenenza e collaborazione sono parte integrante dell’identità umana, dal momento che ci definiamo anche attraverso i gruppi a cui apparteniamo. Ma per funzionare, un team deve saper comunicare, costruire fiducia e condividere degli obiettivi comuni: è proprio in questo equilibrio che le persone imparano a collaborare e a trasformare le eventuali difficoltà in motivo di crescita personale e professionale.

 

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