Partiamo dalla definizione. Che cos’è “complesso”?
Non essendoci una definizione “scientifica”, possiamo provare a definire la parola “complesso” se vi è un sistema con le seguenti caratteristiche:
1) L’emergere di proprietà o comportamenti che non possono essere previsti dalla nostra conoscenza degli elementi del sistema.
2) Reazioni estremamente sensibili, come il “battito d’ali di farfalla”, che cambiando elementi o condizioni iniziali per noi impercettibili, portano a un’evoluzione radicalmente diversa.
3) L’auto-organizzazione, cioè l’apprendimento, che comporta lo sviluppo di nuove strutture, spesso imprevedibili, che permettono al sistema di adattarsi a nuove situazioni e informazioni.
Già a scuola ci viene insegnato ad “analizzare e scomporre” ciò che è complesso, perché l’insieme risulta troppo difficile. Però così facendo perdiamo la visione complessiva, il senso, il significato e la portata di quello stesso elemento nel suo contesto: lo osserviamo come se fosse un’entità a sé stante.
Sarebbe come pensare di guarire un cuore malato senza preoccuparsi di verificare se l’organismo che dovrà continuare a ospitarlo sia sano.
Affrontare la complessità con la sola arma dell’analisi rischia di aumentare il grado di confusione e di frustrazione.
I sistemi umani sono dinamici perché composti da persone e non rispondono alle “regole della logica” né seguono equazioni o funzioni matematiche. La logica tradizionale è inadeguata ad affrontarli perché utilizza sequenze di causa-effetto anziché considerare le molteplici combinazioni di fattori che, influenzandosi gli uni con gli altri, danno vita e mantengono il sistema.
Attratta dal concetto di “complesso” la scorsa estate mi sono inoltre imbattuta e immersa in un corso bellissimo di Pensiero Sistemico grazie al quale sono riuscita a dare spiegazione ad alcuni elementi di complessità.
Cos’è il pensiero sistemico?
Il pensiero sistemico è un modo di pensare, è un linguaggio per la descrizione e la comprensione delle forze e delle interrelazioni che modellano il comportamento dei sistemi. Questa disciplina ci aiuta a vedere come modificarli in modo più efficiente e ad agire più in sintonia con i processi naturali del mondo naturale ed economico. (P. Senge)
Il pensiero sistemico si basa sulla comprensione di come e perché le cose sono così come sono, chiedendosi il perché da una prospettiva finora poco considerata. Da un lato, ci insegna che non possiamo controllare tutto (un’idea a cui l’Homo sapiens non è particolarmente affezionato…) e che non esiste un sistema privo di costi. Dall’altro, ci insegna come minimizzare i costi, come intervenire per arrivare a un punto meno pericoloso per il sistema stesso.
Cosa mi è possibile fare adottando principi e regole sistemiche?
- anticipare eventi e conseguenze: la pianificazione degli obiettivi sarà molto più efficace e permetterà di vedere più lontano
- scoprire le interconnessioni e i cicli di causa-effetto che sovrintendono alla relazione causale tra gli eventi
- individuare i modelli mentali responsabili della creazione di problemi, così da evitare che si ripresentino
- abbattere drasticamente il “costo energetico” degli interventi (v. effetto leva)
- vedere le cose in maniera molto distinta: tutto sembrerà meno ostico, più “facile”, più comprensibile
- migliorare la comunicazione, perché sapere esattamente di cosa parliamo ci rende chiari ed efficaci
Il pensiero sistemico ci permette di riconoscere correttamente la responsabilità e di andare oltre il concetto di colpa. Questo perché è la struttura del sistema a determinare i risultati che vediamo, non gli sforzi del singolo. Per quanto un individuo si sforzi, per quanto sia preparato, non può avere un impatto se non assume una prospettiva sistemica.
La sicurezza può essere ripensata sistematicamente?
Riporto alcuni frammenti della recensione di Beatrice Terraneo inerente al libro di Sidney Dekker “Sicurezza e pensiero sistemico”.
La sicurezza scaturisce dalle relazioni complesse e mutevoli delle parti, non dalle parti stesse.
Per fare prevenzione sui luoghi di lavoro non è più sufficiente analizzare l’evento infortunistico in quanto tale, ma occorre avere una visione complessiva, considerare il senso, il significato e la portata di quello stesso evento nel suo contesto.
È interessante come questo libro stimoli la riflessione anche sul modo con il quale ci si approccia ad indagare gli incidenti. Solitamente, siamo portati a ricercare le cause puntando il dito sui componenti che hanno funzionato male, sulle parti non sicure dell’organizzazione o sulle persone che possono aver sbagliato. Tale metodo d’indagine deriva da una visione meccanicistica (modo di guardare il mondo come se fosse una macchina da scomporre) che ordina gli effetti in una sequenza lineare, come se fossero semplice conseguenza di qualcosa che li precede.
Dekker, d’altro canto, sostiene che la realtà sia ben più complessa e che, inoltre, non sia sufficiente analizzare le varie parti che la compongono con il semplice approccio meccanicistico per comprendere ciò che è accaduto. È necessario adottare un punto di osservazione diverso. Di solito il metodo usato per comprendere il perché le cose siano andate male è “giù e dentro”: si apre il sistema, ci si tuffa a capofitto, si trovano le parti e ne si identificano le rotture. Ma, al contrario, bisogna andare “in su e fuori”! La comprensione inizia osservando come gli incidenti e i disastri non siano casuali, ma emergano da una rete di relazioni che favoriscono il successo, e da come queste reti in realtà si diffondano e siano influenzate da effetti che possono essere molto lontani nel tempo e nello spazio rispetto a quando e dove le cose siano andate male.
La sicurezza, così come gli incidenti, non sono il risultato di singole parti sicure (o insicure), ma una qualità emergente dal sistema intero, cioè qualcosa che appare nelle interazioni tra le parti stesse, che si adattano reciprocamente. È ingenuo quindi credere di trovare facili soluzioni analizzando le singole cause, si rende invece necessario imparare ad avere uno sguardo rivolto alla complessità dell’organizzazione nel suo insieme. Non basta quindi correggere procedure, regole e comportamenti se non si mette in atto un sistema in grado di riflettere su sé stesso in modo critico, sfidando le proprie definizioni di operazioni “normali” (si è sempre fatto così…) e ponendo l’attenzione alla raccolta di segnali, anche di quelli che appaiono deboli.
Sidney Dekker, illustrando i fenomeni della sicurezza, suggerisce una visione olistica che stimoli le organizzazioni a orientarsi nella complessità. Questo permette a noi, operatori della prevenzione, di avere uno sguardo più ampio sul nostro approccio agli eventi che accadono.
Durante i sopralluoghi possiamo vedere solo una piccola parte di ciò che accade veramente in azienda, e solitamente ci occupiamo esclusivamente delle parti che non hanno funzionato o hanno funzionato male. Dekker ci esorta, invece, a volgere lo sguardo verso l’organizzazione nella sua totalità, al fine di promuovere un sistema maturo che preveda la partecipazione di tutti i soggetti aziendali, valorizzando la diversità dei contributi come valore in sé per la raccolta e l’analisi dei cosiddetti “segnali deboli” che altrimenti sarebbero ignorati.